Percorso affermazione di Genere
Il genere e l’identità
Il corpo è l’incarnazione della propria identità e ha una sua rappresentazione sociale.
L’anima ed il corpo formano il sé, il corpo è l’oggetto con cui si entra in relazione con l’altro, sia attraverso il linguaggio verbale e non verbale, sia attraverso la sessualità.
L’esperienza vissuta del proprio corpo è l’esperienza del nostro sé, esso descrive me stesso ed’è fuso con ciò che io sono.
Perché ci si possa esprimere sessualmente e comunicare con l’altro è necessario che il corpo non ci sia estraneo, non diventi un impedimento. Immaginiamo che esso venga rinnegato nel suo genere, quale profondo disagio recherebbe al proprio vissuto e nelle relazioni con gli altri? Non sentirsi a proprio agio con il proprio fisico ostacola il rapporto sessuale e impedisce una relazione soddisfacente con il partner.
Quando il corpo viene rinnegato, viene tradita l’esperienza di esso e dunque della nostra identità. Tutto sembra che succeda per caso, non abbiamo alcuna consapevolezza, nè il controllo della nostra esistenza. Avere un sé sano significa essere individui integrati, in equilibrio con l’ambiente.
Rinnegare alcuni aspetti del sé è come fare finta che non esista una parte di noi che non viene cancellata ma solo “congelata”. Tutto questo conduce ad un profondo disagio con esiti disastrosi per la nostra personalità e la crescita individuale. Sentire di avere una fisicità conforme a quello che ci si sente davvero di essere interiormente, significa vivere liberi e non schiavi di un ruolo che la società ci impone di assumere.
Nel 1966, Harry Benjamin definisce “transessuale” l’individuo che ha un profondo disagio (disforia) rispetto al sesso biologico in cui è nato poiché sente di appartenere al sesso opposto a quello assegnato alla nascita.
La disforia di genere o disturbo dell’identità di genere è la diagnosi medica per chi ha una forte identificazione con il sesso opposto a quello biologico. La sua inclusione nel manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM V) dell’Associazione psichiatrica americana è oggi oggetto di polemiche nelle comunità transgender in quanto implica che si tratti di una mallattia mentale anzichè di un’identità. Tuttavia, poiché in molti paesi è richiesta una diagnosi formale per beneficiare di un trattamento, la diagnosi di disforia di genere, può consentire l’accesso a cure mediche e chirurgiche per usufruire dei trattamenti ormonali ed effettuare il cambio di sesso.
La maggiorparte degli studi clinici concordano sul fatto che il transgenderismo sia il risultato di una combinazione di fattori psicologici, sociali e biologici.
Secondo Stoller, il transessualismo è un fenomeno irreversibile determinata in un bambino da un’eccessiva simbiosi con la madre dove il maschio non riesce ad acquisire una propria identità maschile. Egli è incapace di sciogliere il legame fusionale con la madre e ha un padre emotivamente assente con il quale è impossibile identificarsi.
La vecchia definizione di “transessuale” oggi viene sostituita con il termine “Transgender”, il quale nasce all’interno del movimento per i diritti delle persone trans, in opposizione a “transessuale”, espressione che assume un significato psicopatologico assegnato dalle discipline psichiatriche.
Il gender o genere è il risultato di un’insieme di elementi: i cromosomi (x e y), gli organi genitali interni ed esterni, gli ormoni (testosterone ed estrogeni), la psicologia e la cultura (comportamenti sociali maschili e femminili).
I cisgender si identificano con il sesso assegnato alla nascita, i transgender no.
Alcuni individui sentono di avere un’identità di genere interiore analogo all’altro sesso. Alcuni individui non sentono di appartenere a nessuna delle due categorie e rifiutano qualsiasi appartenenza di genere.
L’identità di genere è il frutto di una consapevolezza interiore, l’intima percezione del genere in cui una persona si identifica.
Essa è una caratteristica che riguarda ogni essere umano e non le sole persone transgender, in quanto ogni individuo ha il diritto di esplorare liberamente all’interno del proprio sesso biologico la propria percezione di genere. Le identità di una persona non possono essere considerate secondo una concezione dualistica differenziata in maschile e femminile, ma considerate lungo un continuum che si allontana molto da quello classico, dicotomico femminile e maschile.
Secondo il concetto “binario”, il genere è basato solo sul sesso assegnato alla nascita e non su un vasto spettro di identità, di espressioni e percezioni di genere. La maggior parte delle persone si colloca a una o all’altra dello spettro di genere ma quello dualistico-binario è considerato alquanto limitante per chi non sente di appartenere ad una delle tipologie (maschio-femmina).
A volte, accettare la visione dualistica maschile-femminile, significa semplificare anche le scelte di vita quotidiana come l’abbigliamento, documenti ed espressione di genere. Attualmente però le cose stanno cambiando ed alcuni giovani non si riconoscono in una delle categorie maschile e femminile bensì lungo un continuum non facilmente definibile e alcuni di loro utilizzano persino dei pronomi neutri per farsi denominare e riconoscere, come l’inglese “zie” e lo svedese “hen”.
Appena il bambino inizia ad utilizzare il linguaggio verbale, percepisce quasi sempre un’identità di genere conforme al proprio sesso biologico. Di solito, i bambini si percepiscono dunque, come maschi e femmine, alcuni invece, di genere fluido o di nessun genere.
Intorno ai due anni il bambino è consapevole delle differenze fisiche tra maschi e femmine, intorno ai quattro anni ha chiara la sua identità di genere e si comporta in base ai propri ruoli quando si tratta di scegliere vestiti, giochi e giocattoli. Con lo sviluppo tale percezione relativa alla propria identità può diventare meno netta.
Il profondo malessere che si trova a vivere chi non vive il proprio corpo in maniera integrata con il proprio sé e con la propria identità di genere, può condurre ad un vissuto di profonda disperazione, soprattutto se la persona si trova ad affrontare tutto ciò in completa solitudine e in un clima familiare caratterizzato dall’incomprensione. Essere un individuo transgender, in assenza di un carattere solido, può condurre, soprattutto nel bambino e nell’adolescente, all’isolamento sociale, crollo dell’autostima, forti sensi di colpa, disturbi alimentari e perfino al suicidio. Per queste ragioni è fondamentale riconoscere ed accettare il profondo disagio psichico e agire affinchè ci sia un reale supporto familiare, amicale ed eventualmente psicoterapico. La rete di sostegno intorno al bambino e all’adolescente fa si che egli non si trovi ad essere solo in questa difficile condizione.