La disforia di genere o disturbo dell’identità di genere è la diagnosi medica per chi ha una forte identificazione con il sesso opposto a quello biologico.
Alcuni individui non sentono di appartenere a nessuna delle due categorie e rifiutano qualsiasi appartenenza di genere.
Appena il bambino inizia ad utilizzare il linguaggio verbale, percepisce quasi sempre un’identità di genere conforme al proprio sesso biologico. Di solito, i bambini si percepiscono come maschi e femmine, alcuni invece, di genere fluido o di nessun genere.
Intorno ai due anni il bambino è consapevole delle differenze fisiche tra maschi e femmine, intorno ai quattro anni ha chiara la sua identità di genere e si comporta in base ai propri ruoli quando si tratta di scegliere vestiti, giochi e giocattoli. Con lo sviluppo tale percezione relativa alla propria identità può diventare meno netta.
Può capitare che un maschio voglia usare abiti femminili o giochi per bambine, che provi disgusto per i propri organi genitali e che ci sia un netto rifiuto per il pene, i testicoli o la vagina, il maschietto può ostinarsi a fare la pipì seduto e la bambina-adolescente può rifiutare il seno e la comparsa delle mestruazioni. L’idea che questi bambini hanno di sé è quella di non appartenere al sesso assegnato alla nascita, sentono invece un’appartenenza al sesso opposto o a nessun genere. Per alcuni bambini, l’identificazione con l’altro genere è temporanea, per altri la percezione diviene costante e durevole nel tempo e questo, li porterà a diventare adulti transgender.
Le cause sono biologiche, sociali e psicologiche, anche se non c’è alcuna conferma che esista una correlazione tra transgenderismo, cure genitoriali e traumi infantili.
È fondamentale che i genitori assumano un atteggiamento caratterizzato da accettazione, comprensione e amore incondizionato verso il proprio figlio. Il bambino con un’organizzazione atipica dell’identità di genere deve sentirsi amato, non giudicato e accettato per quello che sente di essere nel profondo.